23 agosto 2012

Mes-ciua vs Harira


Indicatori di cucine nel Mediterraneo.
 Mes-ciua e Harira quanto hanno di comune?
 di Gabriella Molli


Una piazza storica post-Arsenale (piazza Brin) è stata scelta da 
Slow Food Golfo dei Poeti - Cinque Terre-Val di Vara- Riviera Spezzina

 per una riflessione conviviale sul fronte comune di due indicatori gastronomici,  
che apparentemente nati in ambienti molto lontani del mare nostrum,
 si ritrovano poi nelle preparazione quasi affini: 
mes-ciua e harira.
L’ambientazione è quella del "Comera", alloggiato alla base dell’imponente palazzo umbertino
 con cui la piazza si chiude verso mare.
 Le grandi pentole di alluminio (molto usate) offrono già un’atmosfera da cena in famiglia.


La mes-ciua si presenta nella formula di zuppa che ci ha consegnato la pratica 
di cucina spezzina degli ultimi vent'anni:
 ceci, cannellini, grano. 
Ma non esisteva una formula gastronomica unica: andando verso Sarzana cambiano gli ingredienti, subentrano i fagioli borlotti e la cicerchia (tanto cara agli Etruschi).
 La harira ha un aspetto più concentrato, secondo un uso marocchino, 
come vuole la tradizione di casa della giovane donna mediterranea che l’ha fatta,
 vede la presenza dei fidellini e delle lenticchie.

Gabriella Tartarini

Un gioco proposto da Gabriella Tartarini, membro della condotta, 
è centrato sulla scelta fra le due “zuppe” e come è d’obbligo per le cene culturali di Slow Food,
 si va dentro il piattodentro la sua storia, dentro le coordinate sociali che ne formano l’impronta. 
Si va, insomma, alla ricerca delle orme biologiche di ognuno dei due piatti.
 Nasce subito l’esigenza di collocare l’harira come precedente esperienza gastronomica,
 rispetto alla mes-ciua; la stessa analisi della storia dei semi e dei legumi 
ci informa che c’è un passaggio dei prodotti
 arrivati fino a noi dalla fertile Mezzaluna, di almeno duemila anni. 
Gli stessi Romani che si sono serviti del grande granaio africano, 
devono le loro puls a esplorazioni di culture gastronomiche già affermate.
 Ancora gli stessi Romani si sono rivolti a cuochi greci per risolvere
 i loro problemi di cucina evoluta,
 arrivata a noi nel 1300 con i testi scritti di Apicio. 
Nonostante la diversità di composizione i due piatti parlano lo stesso linguaggio: 
i fondamenti alimentari tendono a forte similitudine di accostamenti.
 I semi (escludendo i cannellini che sono post-colombiani) fanno parte di un retaggio
 che ha un forte valore simbolico: la ricerca del benessere prima di tutto
 e poi quelle note di propiziazione alla madre-terra che di solito fa parte 
di rituali di cucina della donna ai primordi della vita.
 Lo stesso procedimento dell’acqua calda in cui i semi vengono cotti, risale a esperienze di 
“caso e necessità”, come direbbe Maurizio Sentieri.
L’evoluzione dei piatti parte sempre da una metodica femminile.
 Alla donna raccoglitrice era chiesto quel compito di nutrire a cui non ha abdicato fino al momento in cui l’uomo è entrato in cucina, relegandola a un ruolo minore e accessorio. 
E poiché, per dirlo con Montanari, “il cibo è cultura”, 
ecco apparire nei due piatti, una forte impronta sociologica.


-L’harira è piatto che non manca mai durante il Ramadan e che profuma le strade in attesa della fine del digiuno giornaliero (Vincenzo Capretti). Felice combinazione di semi (le lenticchie e i ceci in particolare) viene preparata in varie versioni (ogni testa di donna concepisce la sua, più o meno ricca di sapori, a cui non manca mai quello della cannella). E sulla cannella occorre ricordare che “spezia divina”, richiamava la potenza dello Yang 
(il maschile, il cielo, l’asciutto, l’attività) e serviva per allontanare
 i fantasmi delle malattie, dei demoni.


-La mes-ciua, che molti vogliono nata nel porto, raccogliendo le granaglie sfuggite ai sacchi, è  verosimilmente  più un piatto di fine primavera: prima del nuovo raccolto le scorte dovevano essere usate per evitare la crescita e l’invasione degli “intrusi”  (Giorgio Taborelli). Sullo stesso nome mes-ciua che molti vogliono derivato da “mescolanza di semi”, c’è una versione allineata su una matrice mediterranea. Esistono anche in Tunisia le “mishiua”, mescolanze di carne o di verdure. Tutto questo fa parte di una storia comune, molto ben analizzata da Adelchi Scarrano. 
Insomma esiste una grammatica della cucina mediterranea che accomuna mes-ciua e harira.
 Siamo più “fratelli” di quanto pensiamo e la cena interetnica dello Slow Food in piazza Brin
 ha assegnato un “ indice di bontà” alla harira
 (che ha vinto con 39 preferenze rispetto alle 22 per la mes-ciua ).  

Gabriella Molli






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