16 gennaio 2014

La Liguria e la Lunigiana si incontrano nei Testaroli al Pesto


I TESTAROLI 
AL PESTO
Ricetta della Tradizione, originaria di: 
Pontremoli - Lunigiana 
e Genova - Liguria
Ingredienti:
600 gr di farina 0
½ litro di acqua
Sale
Per il pesto clicca il link 
qui sotto

Testaroli della Lunigiana
Utensili di preparazione e presentazione
Il camino
Un contenitore grande tipo zuppiera
Un testo con coperchio in terracotta o metallo
Un cucchiaio di legno
Un guantone da camino
Un mestolo
Due grandi panni di cotone o canovacci
Un tagliere
Un coltello
Una pentola con coperchio
Una schiumarola


Procedimento per la preparazione
Preparare nel recipiente con gli ingredienti, una pastella morbida e abbastanza fluida. 
Scaldare il testo di base (detto sottano) di terracotta o metallo, 
versarvi la pastella cercando di distribuirla in maniera uniforme,
 fino ad uno spessore di circa ½ cm. 
Mettere il coperchio (soprano) e far cuocere sulla brace da 5 a 10 minuti; 
controllare, sollevando il coperchio, che la pasta abbia assunto l’aspetto caratteristico 
di una cialda omogenea e compatta, con tanti forellini dovuti all'evaporazione dell’acqua. 
Estrarre il disco di pasta e farla raffreddare tra due panni di cotone. 
Mettete sul fuoco la pentola con abbondante acqua salata; 

Testaroli al pesto

mentre si scalda, tagliare il testarolo in losanghe
di circa cinque/sei centimetri per lato. 
Quando l’acqua bolle, versatele nella pentola, coprire, spegnere il fuoco  
e tenere in ammollo per un paio di minuti.
 (se il testarolo è appena fatto, si può scendere anche a un minuto)
 Trasferirle nei piatti e condire via via con pesto e formaggio grattugiato,
oppure sugo ai funghi o semplicemente con buon olio extravergine di oliva
 e pecorino o parmigiano grattugiati al momento.

Testaroli al pesto


testo in ghisa per la cottura dei Testaroli [foto da Google]
Note
di Gabriella Molli
Testaroli al pesto. Come dire. Apparentemente due mondi, due areali, due storie: Lunigiana storica e Genova. Intendendo con ciò due felici prodotti, esito perciò di situazioni gastronomiche in evoluzione. Acqua-farina-(sale) per la prima, medium il “testo” per la cottura. Basilico-olio-aglio-(sale) per la seconda, medium il mortaio. Qualcosa, però, mi suggerisce un percorso comune alle due situazioni. E qui mi collego alla storia dei Liguri Apuani. Forte del fatto che anche a Chiavari si fanno i “testaiu”. Nella cucina del monte Gottero c’erano i testaò. Dunque esiste un percorso di usanze gastronomiche concentrate sul testo che diventa anche marcatore di civiltà. E prendo come anello di collegamento delle mie affermazioni due testi: “Gli antichi liguri nel golfo della Spezia” di Valerio Matteo Botto (Luna Editore, 2000) e “Le antiche ricette del Monte Gottero” di Carlo De Vincenzi (Buto Cultura, 2011).
Per il pesto visto che l’usanza genovese si è attestata nel tempo sulla triade basilico-aglio-pinoli, voglio far notare che in Alta Val di Vara nell’inverno si attesta invece l’uso esclusivo delle noci con aglio-olio (pistu de nuse). Ma sempre di pesto si parla. Come se il mortaio fosse anch’esso un marcatore di civiltà. Siamo nel campo delle interpretazioni antropologiche e sul filo di fatti non provati. Non avendo documenti tramandati, in questo caso occorre agire proprio sulla scia delle probabilità. E chissà perchè quando in cucina parliamo di “testi” ci sentiamo sulla pelle una storia romana. Eppure la nostra Lunigiana era parte di una estesa Liguria. Qui vivevano i Liguri Apuani, che i Romani abituati a essere ovunque padroni, hanno sottomesso dopo una lungo accerchiamento. Solo perché erano in tanti, li hanno ridotti in catene. A loro servivano uomini intelligenti e forti. E i Liguri lo erano. Ecco perchè i Romani li hanno presi e portati nel Sannio.
Tanto per capirci, la Lunigiana antica, quella di cui parliamo (e di cui tanto Pontremoli che tutto l’arco genovese fanno parte) va vista in un quadro geografico che grosso modo corrispondeva nel primo Medioevo a una grande terra, che si estendeva dai confini con Lucca e Pisa, a quelli con Chiavari, per salire verso l’Appennino tosco-emiliano. Diciamo che questo arco vasto era abitato da un popolo forte molto civilizzato. Nel castellare di Zignago sono state trovate tracce di semi di granaglie: i romani sono venuti a impossessarsi delle terre dei Liguri Apuani perchè  dominare in modo assoluto era una legge. Tutto doveva diventare romano. Quindi togliendo la libertà, cercavano di eliminare anche la forza dell’identità. Per fortuna non sono completamente riusciti in questa impresa. A leggere quanto hanno lasciato scritto dei LIguri Apuani nomi celebri come Catone e Tito Livio, si evince che li giudicavano uomini “inliterati mendacesque”(tradotto: senza cultura e bugiardi). Il più tenero fu il poeta Ausonio (li dichiarò “duri atque agrestes”). Mi piace tradurre duri con “caparbi” e agrestes, come capaci di trarre frutti dai terreni impervi in cui raccoglievano. 

Dopo questa lunga premessa, torno ai testaroli al pesto. Che senza dubbio hanno una loro palatabilità che ha attraversato i secoli. Ma sono fermamente convinta che c’è qualcosa di misterioso anche nel taglio del testarolo a losanghe. Le radici di questo gesto stanno senza ombra di dubbio nelle primordiali culture di devozione alla dea madre. Nella cucina del Mediterraneo la forma a losanga è molto diffusa. Non sarà un caso.    


Note:

Da I Presidi Slow Food :  Questa specialità della Lunigiana – ora protetta da un Presidio Slow Food intitolato al testarolo artigianale pontremolese – prende il nome dal testo, una teglia in materiale refrattario, formata dal contenitore (sottano) e da un coperchio (soprano), che va messa a riscaldare sulla brace.
La preparazione del testarolo – avverte la signora Antonietta Bertocchi della trattoria Da Bussè – è tanto semplice quanto complessa è la sua cottura, che esige la disponibilità non solo del testo, ma di un locale idoneo dove riscaldare questa particolare teglia a diretto contatto con la brace. Ancora oggi i veri testaroli lunigianesi sono opera di contadini-artigiani che li cuociono nel gradile (grà in dialetto) annesso alle case di campagna, dove si accende il fuoco sul pavimento e il calore prodotto serve per essiccare le castagne o, usando il testo, per cuocere vari cibi, dal pane (carsenta) alle carni, alle verdure, ai piatti a base di farina di castagne (pattona)... Difficilmente vi riuscirà di riprodurre queste condizioni in altri ambienti: comunque potreste provarci e poi confrontare i risultati con i testaroli originari, programmando una bella gita nella Lunigiana”.



Testaroli al sugo di funghi








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