03 luglio 2014

A Tellaro con "Ricette di Lunigiana"


Tellaro, sgabei e tradizione, in un incontro pro-campane
 di Gabriella  Molli
Le campane da restaurare sono state l’input di un incontro sotto un cielo blu con le prime stelle, nella piazzetta dell’Oratorio di Selaa a Tellaro. Incontro a cui ha partecipato Daniela Vettori, sempre attenta agli incontri in cui si parla di storia e di storie di casa nostra (il suo blog – questo blog - ha una caratteristica specifica di indagine e di approfondimento dentro le varie culture gastronomiche liguri e locali). In sintesi l’invito del gruppo di lavoro per la promozione di una ricerca di fondi, che a Tellaro si è attivato sotto la guida di Cesare Battistelli, con nomi come quello di Silvio Vallero e Lauro Cabano, era puntato sul refrain della tradizione. Insomma su cibo-vino-olio, che sono i tre punti forti della storia del territorio lunigianese e della sua convivialità. 
Il libro "Ricette di Lunigiana"

Non poteva mancare perciò un libro uscito presso Cantine Lunae di Paolo Bosoni (Ricette di Lunigiana) e nemmeno un volto di famiglia a parlarne unitamente agli autori (Gabriella Molli, Armando Baldassari, Enrico Calzolari). In questo caso quello di Debora Bosoni, la pupilla che si accinge dopo la madre Iana ad essere la seconda signora del vino di casa. Debora Bosoni ha trasmesso con parole semplici, un messaggio diretto molto ben congegnato sul valore della ricerca enologica di suo padre Paolo. Una storia generazionale quella di questa azienda prima in Liguria, per portare nel bicchiere prima di tutto la cultura del Vermentino. Ma la storia del libro è anche filtrata dalle parole di Enrico Calzolari, studioso d’ambiente (semiologo è il termine esatto) che ha dato una connotazione di particolare valore didattico alle ricette raccolte nel 1996 da Armando Baldassari in un laboratorio di nuova concezione europea all’Alberghiero Casini (Baldassari era docente di sala bar). Ricette che senza l’aiuto di Paolo Bosoni sarebbero rimaste in un cassetto e che sono invece state oggetto di una elaborazione culturale a tre per catturarne gli aspetti di tradizione. Raccolte in un libro-progetto molto elegante. 


Una parte importante dell’incontro l’hanno svolta le donne tellaresi sempre presenti alle iniziative cultural-conviviali, alcune sono proprio storiche, anche per quella gioia che sanno trasmettere. Incantevole il luogo dell’incontro, semplice il menu della serata, iniziata prima del tramonto e terminata a notte fonda: omaggio alla cultura contadina del borgo con il formaggio del pastore (Tellaro è citata nei testi antichi  per la sua formaggetta ai profumi delle erbe aromatiche  di campo, primo fra tutti il timo) accompagnato da un buon pane. E acciughe sottosale con olio di frantoio. E’ questo il secondo elemento che contraddistingue la storia di Tellaro. Olio oggi diventato dop grazie alla ripresa della produzione da parte di un’azienda (Agritur) che ha risanato gli oliveti. I salumi dolci della buona tradizione lunigiananese dell’azienda Giordani che ha sede a Romito Magra e che ha ripreso la via della cultura del maiale come la intendevano in Lunigiana (sale sì, ma con quella misura che non nasconde la dolcezza della carne) hanno conquistato i palati appassionati del settore. Il produttore era presente. E’ da citare che ha esaltato i suoi salumi la magia dell’impasto degli sgabei di Toni: il fornaio di Tellaro che parlava con i bambini della scuola per far loro capire la storia del grano, oggi in pensione.
Gabriella Molli, Daniela Vettori, Debora Bosoni, Enrico Calzolari
Notazione storica
Il nostro storico cibo di strada, è realmente pasta da pane fritta e parrebbe a un primo esame essere sulla scia del trittico del gusto (Liguria-Emilia-Toscana). Ma se pensiamo a un’origine ligure-apuana di questo cibo povero così ricco di apporto calorico (l’olio d’oliva è  sempre stato uno dei “siti gastronomici” che la natura fin dai primordi ci ha fornito) ebbene ci pare conseguente il pensiero, che dopo l’impasto lievitato del pane, la donna abbia pensato a questo “ammazzafame” che anche da solo procurava piacere alla bocca e apporto benefico per l’organismo.
La parola sgabeo, sostiene Giorgio Masetti a pag 40 del libro “Antologia etimologica del dialetto sarzanese” (Agorà Edizioni, 200), è di recente formulazione: prima si diceva “scabeo” da skabellum latino.

La piazzetta dell’Oratorio di Selaa a Tellaro 

  
  


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