21 novembre 2014

Riflessioni, pensando ai barbagiuai


Catena di riflessioni, pensando ai barbagiuai
di Gabriella Molli
(con la ricetta dei Grafignun di Faggiona)
 Leggo la ricetta dei barbagiuai di Daniela e mi vengono in mente i gattafin di Levanto
 e anche i panzarotti di Vezzano Ligure. 
E poiché ricetta richiama ricetta, ecco quella dei grafignun, che sono in molti a non conoscere.
Un tempo i ‘grafignun’ venivano fatti durante il carnevale. 
La ricetta è tratta dal libro ‘Val di Vara’ a cura di 
Simonetta Maccione e Giuseppe Marcenaro - Sagep, 1999

Grafignun di Faggiona*
Ingredienti
Erbi in abbondanza
2-3 uova intere
Formaggio stagionato /pecorino o grana/
Olio d’oliva extravergine
Sale qb
Per la sfoglia
Farina-acqua-sale qb
Come si fa
-Si prepara una sfoglia abbastanza fine. Si fanno bollire per qualche minuto gli erbi
-Si scolano e si tagliano grossolanamente a coltello
-Si forma l’impasto del ripieno con gli erbi, le uova, abbondante formaggio grattugiato e sale
-Quando l’impasto è ben amalgamato, si stende su metà della sfoglia e con l’altra metà si ricopre
-Con uno stampino o una rotella si tagliano i ‘grafignun’ tondi o a losanghe
-Si friggono in un padella in olio abbondante con olio bollente
-Nel ripieno alcuni mettono anche qualche manciata di riso precedentemente bollito

*La ricetta è stata raccontata agli autori da Angela Maria Brusco, nata a Faggiona nel 1912.

Hanno una valenza simbolica i grafignun della Val di Vara? L’hanno i panzerotti di Vezzano? 
Sì, se uno crede che nei tempi che hanno preceduto la storia, 
cibo e religione fossero collegati per un bisogno di sicurezza. 
Io appartengo a questa tipologia di pensiero. Due i miei grandi maestri:
 Piero Camporesi e Giuseppe Mantovano. 
Come accade sempre nelle mie analisi di un piatto, è la forma che mi prende subito.
Ambedue (barbagiuai e grafignun) sono contenitori di pasta, quadrati, a losanga, a mezzaluna, rettangolari. Contengono un ripieno e sono fritti per immersione. 
Quindi sono mediterranei. Il fritto viene da lì. E a insegnarlo furono i Greci 
(lo dice anche uno studioso che ora è a capo dell’Accademia Italiana della Cucina, Giovanni Ballarini). Trovo in queste due particolari elaborazioni racchiuse nella sfoglia, 
un riferimento preciso a riti della fertilità di antiche radici. 
Aggiungo che mi voglio soffermare sul concetto di ricetta come viaggio. 
Intendo dire viaggio mentale dentro l’atto del cucinare, con alcune ulteriori riflessioni. 
Non possiamo servire nel piatto la melanzana, come la natura ce la fornisce. 
La melanzana è un esempio, ma sono tanti i prodotti dell’agricoltura che vanno manipolati, 
come accade per quelli della pesca e dell’allevamento. 
Anche quando si parla di “crudo” c’è manipolazione. 
Ecco quindi che occorre identificare l’atto artistico con l’atto del cucinare. 
Perché atto che non dipende solo dagli ingredienti, ma dal lavoro dell’artista. 
E qui voglio rivendicare ancora (e di nuovo) il ruolo d’artista della donna. 
Quando cucina interviene la sua anima. 
Il suo bisogno sempre troppo disatteso del darti il “bello da mangiare”.
Sì, quelle striscioline che mette sulla crostata di marmellata, sono passate nelle sue mani, 
magari le ha attorcigliate e poste al limite della teglia per abbellire. 
Un lavoro a favore del bello, il suo.
E anche qui mi rifaccio al “pensiero” devozionale che accompagna il suo fare. 
Questa torta è bella perché l’idea del grano, la noterà e mi aiuterà a fare un figlio forte e sano. 
Persino le striscioline di pasta che dividono la superficie della torta in losanghe 
sono il simbolo della nascita, delle fasce miniaturizzate. 
Parlano di invocazione di fertilità e vita. Quindi non sono lì per caso.
 E la stessa forma della losanga, rimasta fino a oggi in molti biscotti e nella pasta, 
è l’attestazione di una geometria della devozione di stampo femminile. Il doppio triangolo.
Storia di donne, di invocazioni mute. Gli uomini guardano alle mirabilia. 
La donna invoca. Quindi guardando nelle cucine del mare nostrum, il tondo, la mezzaluna, 
la forma a otto, il buccellato con il buco, la pasta piegata in tondo dei ravioli, 
il pane spaccato dalla linea dritta, la doppia sfoglia sotto e sopra per formare un ventre che cresce,
 il pane a treccia, i barbagiuai, i panzarotti-i grafignun (tanto per fare ancora tre esempi) 
sono collegati dal sottile filo rosso dell’offerta-richiesta.





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