30 agosto 2012

Metti una sera di agosto a Ca’ du Chittu





Metti una sera di agosto a Ca’ du Chittu
 di Gabriella Molli


Arrivare a Ca’du Chittu nel mese di agosto è come viaggiare con la mente in uno spaccato
 di Liguria di Levante che somiglia alla Provenza. 
Nonostante il lungo periodo di siccità, il mantello verde concede una pausa di ristoro all'occhio
 e le case sono segni di una società dai bisogni minimali:
 l’orto-il giardino-il forno all’aperto-lo spazio dei nanetti....
 Uno a volte ha proprio  bisogno di allontanarsi dalla città sempre troppo uguale
 nelle sue periferie attrezzate a super giunonici luoghi commerciali che ti ingoiano
 e che, mentre ti offrono il tutto e il più dei cibi a livello mondiale,
 ti danno una grande voglia di pane d’una volta con un po’ di olio-aceto-sale.



Torrente nella  Val di Vara
 Ebbene, salire a Ca’ du Chittu è come affiorare a un mondo di stampo diverso.
 Ci sono i pomodori “persumin”, che altro non sono se non i “costoluti genovesi”,
 un tempo chiamati così per un lieve aroma di prezzemolo.
 Ci sono le melette che profumano d’antico, le zucchine trombetta (ah, la torta di trombette),
 i cetrioli gigante per la zuppa fredda di yogurt-limone-sale. Tutto raccolto in giornata.
 E che piacere quando una sera d’agosto, a Ca’du Chittu può capitarti una cena Slow Food
 che ti riconduce a sapori (e saperi) di casa genovese.
 L’ingresso è con cuculli genovesi (quelli che la storica-ottocentesca,
 Cuciniera dei Ratto chiama “galletti")
 e profumano di erba cipollina.
 La forma leggera è arrotondata e il gusto di cipollina, 
di chiara derivazione “francese” (la ciboullette) offre un odore fine e penetrante,
 per dirla con i provenzali, che si traduce in un sapore delicato, “qui ouvre l’appetit”.
 Cuculli così leggeri e piacevoli che si offrono contemporaneamente all’occhio e alle papille.
 Come i  “fiori di zucchino” in pastella  autentico esempio di arte della cucina dei fiori
 di cui le donne liguri e lunigianesi sono maghe.



 Poi compaiono le fettine di frittata con la borragine. Cruda. 
Un vezzo di Ennio, il proprietario, ma anche antica preparazione in linea
 con quanto affermavano le donne genovesi: la borragine ti conforta il cuore e genera allegria.
 Cruda per lasciarle questa virtù (e le tante altre che ha) come fanno tante donne lunigianesi 
quando fanno le torte d’erbi e non passano le verdure in acqua salata,
 ma le pongono a perdere l’amaro con il sale e le usano crude per il ripieno.
 La voglia di continuare la cena è all’apice con i tagioen con “u toccu”.
 Puro capolavoro genovese un tempo realizzato con un “Tòcco”, 
pezzo di carne messo su una base di cipolla-carota-sedano,
 accarezzato come un bambino almeno sei ore, in un rito paziente d’amore, 
con l’aggiunta dei funghi a dare un sapore molto speciale. 


I Tagioen (ma anche tajarin, tagliolini...)

Tagioen: sarà lo storico-archivista Emilia Petacco a dire che Genova è un caso storico
e clamoroso di anticipo su Napoli, grazie ai contatti con la cultura araba,
 da cui ha tratto anche la tradizione della farinata e dei pesci salati. 
E a dire che negli statuti tratti dagli archivi della Lunigiana storica si evince che anche qui
 le “paste” avevano nomi diventati storici: 
gasse, macaron, fidé, fidefin (capellini di formato più sottile),
 croseti, mostacioli, lasagnete.....
L’omaggio alla polpa, tradotta in minimali forme “rotonde” nate nell’incavo della mano femminile
 (quanta significanza religiosa in questo gesto) è nelle polpette della Val di Vara.
 Ma il preziosismo della serata ispirata ai cibi antichi della tradizione genovese prosegue
 in una serie di “frittini di grasso e di magro”, che Ennio ha tratto dai ricordi della sua casa,
 assieme alle “lattughe piene”, che derivano da antichi piatti arabi e che le donne genovesi
hanno arricchito di una salsina agrodolce con i piselli,
 che nella cena Slow ha portato la testa lontano lontano. 

Pane Martino

Come i “pursemin”, Pane Martino i ravioli dolci e i biscotti a losanga
che richiamano nella loro forma antichi retaggi di sensazioni templari.
 E, come ha fatto ben osservare Giampaolo Barrani (uomo slow di cultura di costa: è di Corniglia)
che altro vino si poteva portare in tavola, con l’occhio a Genova, se non Ciliegiolo e Bianchetta?  



Nocciole della Val di Vara









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